Wednesday, December 15, 2010

Up the Alley: terza ed ultima parte

I Pensionanti di Nonna.

John l'Ungherese.
Portava sempre un berretto di pelle nera, spesso non rasato e non molto pulito. Aveva una sigaretta sempre in mano. Ed era amichevole, anche se in un modo un po' rude.
Leo il tedesco
Lui nemmeno parlava l'Inglese molto bene. Era giovane, forse sulla trentina. Aveva i capelli castani ed era molto carino. Sorrideva tanto.
Ralph il tedesco
Credo che lui e Leo fossero amici. Era il più bello della banda, alto, con i riccioli biondi. Nemmeno lui parlava l'Inglese.
Una volta lo zio Vincent stava quasi per ucciderlo. Ralph e Leo tornarono a casa tardi e zio Vincent stava dormendo sul divano. Per fargli uno scherzo gli fecero prendere uno spavento, allora lo zio saltò in piedi e voleva strozzare Ralph. Nonna sentendo i lamenti di Ralph dovette intervenire per separarli. Allo zio Vincent era meglio non fargli prendere gli spaventi!
Candy Factory Joe.
Lui portava sempre pantaloni e magliette bianche. Era l'unico che parlava l'Inglese, ma parlava così veloce e poi non stava tanto bene di testa, che non si capiva ugualmente.
Magooch
In assoluto il mio preferito. Un piccolo italiano rotondetto che non parlava Inglese. Ci vedete qualche schema in tutto ciò? Io credo che fosse un prerequisito per vivere lì.
Anche lui portava pantaloni neri con le bretelle sopra una tuta bianca e stivali neri. E per concludere un cappello nero. E' ancora nel mio cuore!
Lavorava per il comune. Poi un giorno si ammalò, di tubercolosi credo. Il comune rifiutò di prendersi cura di lui. Lo lasciarono senza un soldo. Nonna non potè sopportarlo. Allora prese un tramvai e andò giù all'ufficio del Sindaco, Tommy Delasandro. Puntò dritto sull'obiettivo senza filarsi per niente la segretaria. Gli fece una bella lavata di capo sul trattamento che il comune stava riservando a Magooch. Allora il Sindaco alzò la cornetta del telefono e prima che Nonna tornasse a casa, Magooch ebbe la sua pensione d'invalidità. Bel lavoro Nonna!
(Il sindaco di Baltimora Thomas L.J.D'Alesandro 1947-1959 democratico)

La cucina di Nonna

Quando Nonna non giocava a carte, cucinava il più delizioso, meraviglioso cibo italiano che abbia mai assaggiato. Ho già parlato dei profumi che provenivano dalla dispensa, ma in realtà, la casa intera odorava del cibo italiano di Nonna. Ogni festività ci riunivamo tutti a casa sua. Potevamo sentire il profumo del tacchino farcito con aglio e rosmarino, maiale arrosto, la pasta con le polpettine di carne e se eravamo fortunati, gli gnocchi, i nostri preferiti. A Pasqua c'era una sorpresa speciale. Un'enorme torta bagnata con l'anisetta con sopra delle uova sode. A queste feste c'era una bella differenza rispetto a quelle dei tempi duri. A quel tempo Nonna versava la polenta sul tavolo. Sotto la polenta nascondeva un quarto di dollaro. I ragazzi dovevano prendere i cucchiai e mangiare la polenta direttamente dal tavolo, con la speranza di essere i primi a trovare i 25 centesimi. Quella era la loro festa.

Mio padre ci ha raccontato la storia di come facevano a catturare gli uccelli per la cena. I ragazzi portavano la rete del letto giù nel cortile e ricavavano un cerchio di terra spalando la neve. Buttavano dentro al cerchio dei pezzettini di pane e quindi legavano la rete da un lato con una corda e dall'altro l'appoggiavano a un bastone. Quindi risalivano le scale e andavano alla finestra ad aspettare. Quando c'erano 40 o 50 uccelli a mangiare il pane allora tiravano la corda facendoli cadere nella trappola. Allora gli uccelli venivano messi a lavare in una tinozza e poi uno ad uno terminavano la loro sofferenza.
Dopo averli messi in acqua calda, strappate le penne e puliti, Nonna li metteva nel sugo oppure li friggeva. Tutta la pasta era naturalmente fatta in casa. Credetemi, lei insegnò a tutti i suoi figli come fare la pasta. Mio padre Sam a sua volta l'ha insegnato a mio fratello John e a mio marito Cal. Tutte le altre ricette non è possibile replicarle perchè quando chiedevi a Nonna come si faceva una certa cosa lei rispondeva “ ci metti un po' di questo, un po' di quest'altro e mischi tutto insieme”.
Quando sposai mio marito la cui famiglia è di origine olandese, mia suocera mi chiese quale fosse il nostro piatto tradizionale di famiglia. E io le spiegai che durante le feste andavamo a casa di mia Nonna dove c'erano sempre tacchino, spaghetti, polpette, maiale arrosto, ecc. Nemmeno un mese più tardi mia cognata mi fece sapere che mia suocera era rimasta affascinata dal cibo della nostra famiglia. Non riuscivo a capire perchè. Allora mi disse “ ma quando mai si farcisce il tacchino con gli spaghetti?”.
Ho riservato il meglio per il finale.

I sei piccoli selvaggi
Ascoltando tutte le storie di come sono cresciuti, dei problemi che hanno avuto è un miracolo che Nonna fosse ancora sana di mente.
Samuel, il più vecchio e il più pestifero.
Combattè nella seconda guerra mondiale in Italia, e fu ferito ad una gamba. Dovrebbe essere una cosa triste, ma per me fu solo un cambiare vita. Dovevo essere sul punto di nascere quando egli fu rimpatriato. Mia madre aveva in mente di chiamarmi Bermuda! Fortunatamente quando papà arrivò non volle saperne e mi mise nome Sandra. Sarebbe stato molto peggio! Papà divenne un meccanico d'auto e poi andò a lavorare per le Ferrovie della Pennsylvania Co., proprio come suo padre.
Zio Tony
Anche lui ha fatto la guerra, ma non so dove. Dopo di ciò cominciò la sua attività di idraulico.
Zio Vince
Penso fosse in marina durante la guerra. Lavorò per lo stato alla Previdenza sociale.
Zio Marion
Non credo abbia fatto la guerra. Aveva un distributore di benzina e allevava cavalli da corsa. Più tardi andò a lavorare con lo zio Joe alla fabbrica di refrigeratori.
Zio Joe
Ha fatto la guerra in Korea. Poi lavorò alla fabbrica di refrigeratori nel management.
Zio Junie
Era in marina e poi nell'aviazione durante la guerra in Viet Nam. Fu il primo che perdemmo. Era così giovane!
C'è ancora tanto lavoro da fare nel mettere insieme tutte le storie legate a questi sei fratelli. Le racconterò non appena saprò qualcosa di più sui loro vezzi.
Una storia.
Tutti i ragazzi avevano dei soprannomi. Io davvero non li conoscevo con i loro nomi di battesimo. A 18 anni ebbi il mio primo appuntamento col mio futuro marito, Cal. lui veniva da una famiglia eminente dell'Ohio. E aveva avuto un'educazione molto diversa dalla mia. Viveva a Cleveland e veniva a Baltimora una volta al mese per lavoro. Il giorno del nostro appuntamento Nonna ebbe un'infarto e fu ricoverata all'ospedale. Non c'era alternativa, non potevo andare all'appuntamento senza passare a farle visita. Quando entrammo tutti gli zii erano già seduti accanto a Nonna. Ebbi un momento difficile. Sapevo infatti che se li avessi presentati con il loro vero nome, mi avrebbero canzonato non appena uscita dall'Ospedale. Non c'era modo di uscirne, era la mia unica possibilità di fare colpo.
Feci un bel respiro e cominciai a passarli in rassegna.
Questo è mio zio Dago, zio Junnie, zio Mutt, anche noto come zio Beddie, zio Blackie noto anche come zio Goat, e zio Vink. Mio padre era là e mi salvò dal pronunciarne il soprannome dicendo “zio Fag!!....” proprio come la marca di sigarette.
Quando Nonna tornò dall'ospedale io fui abbastanza fortunata da trovare il tempo per andare ad aiutarla quando potevo.
Un giorno volli lavarle e spazzolarle i capelli. Mentre allentavo ciascun capo delle trecce io vidi tutti gli strani e meravigliosi pezzi della sua vita intrecciati in quei capelli. Lei era solita portarli con una stretta treccia raccolta a ciambella sopra il capo, nessun capello isolato poteva scappare. Controllava i suoi capelli allo stesso modo di come controllava la sua vita. Mettendo una pinzetta stretta su tutto e su tutti. Sei bimbi scatenati e affamati, senza un padre che l'aiutasse a tirare avanti e tutto sulle sue spalle. Ci furono momenti in cui vacillò sotto lo sforzo, ma non crollò mai. Mentre scioglievo la treccia liberandone i capi cominciai dolcemente a spazzolarle i capelli.
Ogni volta che ha avuto un infarto io pregavo che potesse abbandonare quella sua vita vissuta in condizioni estreme e potesse finalmente ricevere il riposo che aveva immensamente meritato.
FINE
(Nonna Irene in una casa nel New Jersey)

Saturday, December 11, 2010

Giancarmine Gasparroni


La prima volta che incontrai Giancarmine, o almeno la prima volta di cui mi ricordo, fu quando lavorai occasionalmente in un'azienda del teramano; lui era fornitore di quell'azienda e mi fu presentato da mia sorella Franca. Subito mi disse “Lo sai che noi siamo parenti? Mia nonna e tua nonna erano sorelle”. La parentela dei Crevì è talmente estesa che è facile che qualche parente ti sfugga. Questo Meeting infatti è servito non solo per conoscere i parenti americani ma anche per riconoscerci fra di noi! Mi ricordavo invece delle visite periodiche di sua mamma Nicolina a nonna Argentina che si recava a trovare la zia con l' immancabile “sporta” ovvero una busta di plastica che conteneva zucchero, caffè, frutta, biscotti e, nei casi più gravi, carne, nel caso cioè in cui nonna fosse stata particolarmente malata. La cosa che subito colpisce di Giancarmine è la sua esuberanza unita ad estrosità e simpatia. Il suo linguaggio è un caleidoscopio di termini antichi e moderni; citazioni latine sono frammiste a frasi inglesi, italiano forbito a dialetto abruzzese! Ma il fare teatrale non deve ingannare; parlandoci emerge infatti il suo acume, la sua fine intelligenza. Egli appartiene ai self-made man, agli uomini che si sono costruiti da soli la loro fortuna. Saldamente legato alle radici famigliari, non ha snobbato la Reunion, anzi è stato uno dei maggiori fan e sostenitori. Ha partecipato con l'intera famiglia, volendo che anche i suoi figli vivessero quell'esperienza. Quel giorno poi è stato senza dubbio il primo della classe! Aveva stampato stralci del Blog e memorizzato nomi e date. Al meeting era presente anche il prof. Giuliano Rasicci, esimio studioso della storia di Tortoreto (ma non solo). Il prof. Rasicci ci ha promesso una ricerca genealogica sulla famiglia. Così quel giorno voleva sapere da me alcuni dati. Il problema era che io ero talmente frastornata da quel bagno di parenti che se uno m'avesse chiesto come mi chiamavo avrei avuto serie difficoltà a ricordarmelo!! Per fortuna c'era Giancarmine preparatissimo su tutto che ha fornito al Professore tutti i dati richiesti. Ai regali comuni Giancarmine ha voluto aggiungere i suoi personali: una macchina IMPERIA per fare la pasta insieme a confetti ed altre specialità abruzzesi. So che sta attraversando un periodo difficile della sua vita ma sicuramente lo supererà con la grinta da leone che gli è propria. Grazie Giancarmine e good luck to you.


Giancarmine Gasparroni insieme alla sua famiglia e al cugino Leo Rosati


Giancarmine con gli americani


da destra: il prof. Giuliano Rasicci e il regista Mauro John Capece

Tuesday, December 7, 2010

Up the alley: parte seconda

Mia Nonna si chiamava Irene Pilli ed era nata nel 1900 in Italia. Arrivò su questa costa attraverso Ellis Island nel 1921. Aveva 22 anni quando nel 1922 sposò Umberto D'Angelo. Si sistemò in questa nuova terra per una nuova vita insieme a Umberto. Mio nonno lavorò per le Ferrovie della Pennsylvania Co.. E finalmente ebbero 5 piccoli bimbi scatenati. Cominciando da Samuel, Tony, Vince, Marion e finendo con Joseph. Putroppo Umberto morì nel 1932 a causa di un'encefalite. E' una tragedia perdere un marito che si ama, ma è un disastro ancor peggiore essere lasciate sole a crescere cinque bimbi affamati, in specie durante il periodo della Depressione. La Depressione in America durò dal 1929 agli inizi degli anni '40. Il figlio maggiore, Samuel, aveva 9 anni, l'ultimo, Joseph, appena 8 o 9 mesi. Che fare?
Non sono sicura dell'ordine degli eventi, ma credo che fu proprio dopo la morte di Umberto che Nonna convertì la stanza frontale della casa, quella che era la sua camera, in una “speak easy” (N.d.T. Così venivano chiamati i luoghi dove durante il proibizionismo si servivano liquori). Ciò avvenne durante il Proibizionismo che cominciò nel 1920 e finì nel 1933. Nel locale ogni giorno si servivano wiskey e birra Arrow dalle 7 del mattino fino alle 10 o 11 della sera. Fu piuttosto un bar di quartiere, dove Nonna faceva da cameriera ed era conosciuta come “Miss Irene”.(N.d.T. Il “Miss Irene” era anche un famoso bar di Fells Point a Baltimora)
(L'insegna del Miss Irene in Fells Point, che ha chiuso i battenti nel corso del 2010)

Uno degli avventori più affezionati fu Tiddy Plater. Era ancora da quelle parti quando io ero un' adolescente, e me lo ricordo bene, anche se non senza una punta d'imbarazzo. Stavo andando a scuola quando d'un tratto inciampai e caddi a terra, proprio di fronte a un tramvai pieno di ragazzi della Saint Joe. Ricordo lui che penzolante rideva dalla finestra per la mia claudicante mancanza di grazia. A peggiorare le cose poi, ecco che arriva Tiddy Plater, già traballante e incerto col suo drink mattutino in corpo, che voleva aiutarmi a stare in piedi, a me! Lui che non era in grado di farlo con i suoi...
Un altro importante cliente fu il sergente di Polizia Beidefelt. Ricordo che guidava una Ford 1931. Egli capì, io credo, che sebbene Nonna stesse facendo qualcosa contro la legge, lo facesse per tenere la sua famiglia unita. Così quando venne a sapere che le forze dell'ordine avrebbero fatto un raid nel suo locale, glielo disse. Ciò consentì ai ragazzi di scavare velocemente una buca sotto al pollaio dove seppellire gli alcolici. Grazie al Sergente Beidefelt, Nonna non soffrì mai l'umiliazione della prigione.
Un altro papavero, voglio dire un cliente, era Dave Wright. Divenne famoso per il suo stand delle granite. Per 5 cents potevi indulgere in sapori come: Blue Boy, Cocomero, Joe Palooka e Bloody Orange che inzuppavano la vaschetta colma di ghiaccio tritato. Io ero solita lavorare duro per guadagnare 5 cents al giorno affinchè potessi avere una delle mie (e lo sono ancora!) preferite squisitezze estive.
Crabby fu un altro personaggio irripetibile. Non so perchè lo chiamassero “Crabby”. Può essere che fosse per il suo carattere o che avesse qualcosa a che fare con i crostacei (N.d.T. “Crabby” vuol dire scontroso, ma “Crab” significa granchio, che è anche una specialità di Baltimora)...
Tutti erano i benvenuti a eccezione di un uomo. Vernon Chambers, lui fu estromesso a vita. Era un gigante d'uomo ed era sempre ubriaco. Io ricordo che dovevo stargli alla larga quando lo avvistavo barcollare su per la collina, perchè se mi fossi avvicinata troppo e avesse perso l'equilibrio, rovinando a terra, certamente mi avrebbe uccisa. Benchè, credo, fosse il padre o il nonno di “Spooky”, che era un gran caro ragazzo. Non molti anni or sono, un mio cugino stava aggiustando un ascensore in una prigione di stato quando sentì qualcuno chiamare “Norman”. Si girò timidamente a guardare chi fosse ed era Spooky, mentre salutando si allontanava. Ma non lavorava alla prigione, era ospite dello stato. Un gran caro ragazzo comunque.
Le donne erano le benvenute al bar così come gli uomini. Alcune lo frequentarono. C'erano Hattie Green, Mattie Green (no, non erano gemelle) a Snookie Banks. Mi sento talmente fortunata a ricordare tutta questa gente meravigliosa, suppongo significhi che sono veramente vecchia, oppure che siano vissuti tutti cento anni e più.
Sono sicura che anche i suoi dirimpettai, Maggie e Tootsie furono frequentatori assidui. O almeno Tootsie. Maggie era solita corrergli dietro con la scopa ogni qualvolta lui esagerava con le libazioni al bar della Nonna.
Nel bar non c'era solo un bancone, che era lungo quanto la stanza, ma c'erano anche tavoli, sedie e sputacchiere.

Un ragazzo di nome Joe Mondania portava il liquore in bidoni di latta da 5 galloni. Egli bussava alla porta posteriore per avvisare che stava arrivando. La birra arrivava in fusti di legno (i futuri fusti per il vino?) che venivano fatti rotolare attraverso la finestra della cantina. Essa aveva una grata di ferro per consentire lo scarico delle bevande. Nessun bambino fu mai ammesso al bar, nemmeno i suoi piccoli selvaggi. Nonna doveva lasciare il bar ogni qualvolta preparava loro da mangiare. Nel 1935, anno più anno meno, chiuse il bar e lo convertì in una drogheria. Non so quanto durò quell'attività, ma alla fine tornò a essere la sua stanza da letto. Qualche tempo dopo la morte di Umberto Nonna si risposò con un tale Dominick Mascetti da Chicago (N.d.T. ma quale Chicago, era de Monzambolo del Trondo!). Ebbero un altro figlio Dominick Junior, il nostro amato zio Junie. Dominick (padre) visse fino al 1943, quando morì a causa di un incidente stradale con un tramvai e lasciò mia Nonna a crescere sei bambini.
Non sono sicura che fosse proprio a quel tempo che Nonna cominciò ad accogliere dei pensionanti in casa per aiutarla a sostenere le spese. Alla fine trovò un lavoro in una fabbrica di caramelle. Preciso che ciò non apportò alcun vantaggio ai teneri denti di tutti i suoi nipoti, perchè non ricordo che abbia mai riportato a casa qualcuna di quelle favolose caramelle alla cioccolata. Certo, magari una o due volte, ma non quanto ci si potrebbe aspettare.
Avere delle persone in più in casa non era proprio l'ideale perchè c'era un solo bagno. La casa era già affollata a quel tempo. I suoi sei ragazzi erano diventati grandi e dopo sposati avevano vissuto insieme a Nonna un certo periodo prima di trovare una casa in proprio.
La camera da letto di Nonna era sul retro al primo piano. Da essa si accedeva giusto alla cucina. Io amavo quella cucina con le sue piastrelle rosse e blu. Aveva degli armadietti a muro bianchi. Ce n'era uno speciale che conteneva tutte le bontà della cucina. Il barattolo dello zucchero! Quando fummo abbastanza cresciuti, a mio fratello John e a me fu consentito di aprire quell'armadietto. Il profumo che emanava era tutto italiano. Riesco ancora a sentirlo. Potevamo prendere un pezzo di pane bianco, spalmarlo di burro e quindi una spolverata di zucchero sopra. Quella era la nostra specialità, pane e zucchero. Dalla cucina si accedeva direttamente alla sala dove attraverso le scale si potevano raggiungere il bagno e le altre stanze da letto. Una parte della sala era la stanza di John, un pensionante. La porta che accedeva alla cantina era in quella stanza. La sola cosa che separava la sala dalla stanza di John era una tenda. Nella stanza vicino al bagno c'era la camera di Magooch, altro pensionante. Nella stanza grande in cima alle scale vivevano i ragazzi. C'era una botola in quella stanza che portava all'attico. Sam era solito nascondersi là per spaventare i suoi fratelli. Quella camera era la stessa dove lo zio Junie, che non voleva mai andare a scuola, veniva svegliato dai fratelli con una secchiata d'acqua. Per quanto riguardava il bagno invece, esso aveva un piccolo tetto sull'esterno della finestra, che Sam giudicava perfetto per nascondersi con un lenzuolo, e aspettare pazientemente che un ignaro fratello entrasse a fare qualcosa. Ci beccava sempre quel povero zio Marion che inciampando sui suoi pantaloni andava urlando giù fino all'entrata. Fratelli, o forse dovrei dire, un fratello.


Le nuore di Nonna 
Prima o poi tutte le mogli dei suoi figli dovettero avere a che fare con lei... La Boss. Lei le trattava tutte allo stesso modo. Cioè male. Non le piaceva né approvava niente di loro. Sono sicura che rese la loro vita un inferno. Si meravigliò non poco quando scoprì che la moglie di Sam, Mary (mia madre) non aveva paura di lei, anzi, era desiderosa di giocare a carte con lei.
Una cosa che dovete sapere a proposito di nonna è che amava giocare a carte. Penny Ante (N.d.T. Gioco simile al poker in cui la puntata massima è limitata a un penny o ad altra somma prestabilita) e poker. Erano la sua passione insiema al Bingo alla 14 Holy Martyrs (N.d.T. una scuola cattolica parificata).
(La 14 Holy Martyrs di Baltimora, al suo interno c'erano ampie sale per le attività ricreative dei credenti)

Era solita portarmici di tanto in tanto. Mi ricordo quando partecipò a Regina per un giorno (N.d.T. Era un format in cui i concorrenti raccontavano pubblicamente la loro storia personale. Quella che riusciva a commuovere di più la platea, guadagnandone gli applausi, otteneva la corona e una lista di premi, offerti dagli sponsor, secondo i desideri espressi dal concorrente. Fu un programma aspramente criticato perchè troppo umiliante per chi necessitato vi partecipava).

Vinse una corona e un mucchio di altra roba. Una volta che lo zio Marion fu in grado di comprarsi un'automobile, divenne compito suo accompagnarla a giocare a bingo. Un'altra sua passione era guardare il wrestling in TV. Me la ricordo ancora che tirava una scarpa alla TV quando Antinina Rocka fu schiacciata a terra.
Il cast dei personaggi che giocavano a poker con lei rimarrà leggendario. Le partite si giocavano sempre la sera e io mi offrivo volontaria ad accompagnare mia madre a casa di Nonna. Per arrivarci dovevamo passare lungo il viale. Il gioco si svolgeva sul tavolo bianco della cucina di Nonna. Io mi sedevo sempre vicino a Nonna quando andavo là. Benchè non fosse sempre il luogo più sicuro dove sedersi. A Nonna non piaceva perdere i soldi! Forse avrebbe potuto avere qualche incertezza con la lingua Inglese, ma mai con i dollari e i centesimi. Non la potevi imbrogliare nemmeno di un penny ed era meglio che non ci provavi. Quando perdeva una mano si arrabbiava con le carte e le buttava giù chiamandole, “mazzo di m....” . E quindi le scaraventava per terra. Non avrei pagato un centesimo per starle più vicina.


Il cast
John.
Veniva dall'Ungheria (o da qualche altro posto da quelle parti). Era stato un combattente per la Libertà e purtroppo, si suicidò col gas. Indossava sempre un berretto di pelle nera ed era magro come uno stecchino. Non si lavava molto. Pure lui fu pensionante dalla Nonna. Come sia stato non lo so. Non so dire dove Nonna trovò questa gente. Parlava a fatica un po' di Inglese, ma era in grado di contare le carte e il denaro.
Paul Vanilla.
Paul era “l'uomo del ghiaccio”. Era l'Italiano che consegnava il ghiaccio in grossi blocchi. Aveva anche un allevamento di conigli. Era più lento della melassa quando doveva dare le carte o leggere le sue. Le parole “Per Dio Paul, tocca a te, dai le carte!” rimbombavano nella notte. Ancora si potevano sentire quando io e mamma tornavamo a casa passando per il viale a tarda notte.
Ecco un altro che non sapeva parlare Inglese.
Rosie Peel
Che in realtà si chiamava Rosie Pilli ed era sposata con il fratello di mia Nonna, Dominick. Rosie e Dominick vivevano giusto dietro l'angolo della casa di Nonna. Egli arrivò per primo in questo paese. Ci fu qualcosa che accadde tra di loro che causò una rottura dei rapporti per il resto delle loro vite. Non si parlarono più. Una vera tragedia. Anche se Dominick le faceva sempre avere delle uova.
Rosie era un' abituè del gioco. Nonna passava tutto il tempo del gioco a fissarla come un falco così che non potesse rubare nemmeno un penny nè nasconderle una carta. Il suo Inglese era probabilmente il migliore del gruppo, dopo quello di mia madre.
Quando qualcuno voleva dire qualcosa che non volevano che sentissi, allora parlavano in Italiano, girandosi di tanto in tanto verso me per accertarsi che non capissi. Ma io capivo, forse non proprio l'esatto significato, ma capivo anche che ero testimone di qualcosa di speciale, un cast di personaggi, caduti nella trappola di un gioco il cui proposito era quello di giocare per vincere qualche soldo, ma lo scopo ultimo di ciascuno era di non perderne nemmeno uno.
Quando il gioco finiva, Nonna non ci lasciava mai tornare a casa da sole nell'oscurità. Mandava sempre John ad accompagnarci. E io non sapevo se mi facesse più paura John o il buio lungo il viale.
(Continua...)
(Un autocarro della Birra Arrow, che si produceva proprio a Baltimora)

Monday, December 6, 2010

...altre foto


Il piatto commemorativo in ceramica, dipinto a mano da un'artista di Castelli


Sandy lo mostra ai parenti


Foto di gruppo dei cugini D'Angelo


I giovani



Il gruppo degli americani (c'è un piccolo infiltrato!)


La sala affollata

Friday, December 3, 2010

Zio Tonino


Lo zio Tonino Piccioni è il figlio di Vittoria (Vevina). All'anagrafe si chiama Attanasio ma noi tutti lo chiamiamo zio Tunì. Per tutta la vita ha lavorato duramente nei campi, coltivava i terreni dei signori Ricci, quelli che ora sono stati devastati o meglio spazzati via dai mostri commerciali. Poi una volta lo incontrai al Mercatino dell'antiquariato di Ascoli e lì mi si rivelò un forziere. Stava dietro a una bancarella di libri antichi. Scoprii così la sua grande passione per il collezionismo: libri, giornali, vecchie riviste, cartoline, monete tutto ciò che aveva attinenza con la storia e in particolare con la storia locale. Passione che lui ha sviluppato da autodidatta perchè non ha avuto il privilegio di ricevere una lunga istruzione. Passione che ha instillato in suo figlio Marco. Zio Tunì è un uomo mite e generoso. Ogni volta che sono andata a casa sua non sono mai uscita a mani vuote. Una volta mi regalò due bellissime monete medievali che io mostrai con vanto a un nostro amico archeologo, poi una vecchia bottiglia di gassosa di quelle con la pallina di vetro dentro, poi libri a non finire, sulle torri barbaresche, su Tortoreto stazione, su vecchie riviste. E' stato lui a rinvenire in uno di questi libri i voti di preferenza del nonno Sabatino D'Angelo quando nel 1914 fu eletto consigliere comunale. A volte si recava da mio padre con qualche nuovo reperto "Tunì m'ha purtat stu giurnal" come quella volta che ci diede un vecchio quotidiano sul quale era pubblicato il nome di nonno Emidio, vincitore di un premio produzione di cereali. In una delle mie visite ricordo che volevo sentire la sua versione del furto ai Crevì ma la zia 'Velina lo anticipava sempre raccontandomi lei la versione di Vevina. Lui ebbe un sussulto di rabbia per il fatto che sua moglie non lo lasciasse parlare; quando però gli telefonai per domandargli un'informazione su sua madre, mi mise in attesa e chiese alla zia! Il giorno che ha saputo che avevamo commissionato dei piatti di Castelli da regalare ai parenti americani ha voluto aggiungervi di tasca sua libri sulle ceramiche di Castelli. Ha aderito con entusiasmo alla Riunione coinvolgendo i suoi figli e i suoi nipoti. La mattina del Meeting è arrivato persino prima di noi! E noi non lo abbiamo ringraziato. Voglio farlo adesso: grazie zio per tutto quanto.


da sinistra zio Tonino, zia Velina e loro figlio Mimmo


da sinistra Mimmo, sua moglie, Lorella, Laura, Marco, Giorgia, Giammarco & fidanzata


da sinistra Lorella, Giammarco, Marco Piccioni, la fidanzata di Giammarco e Giorgia (sullo sfondo il produttore della bottiglia!!)

Thursday, December 2, 2010

... ancora foto


Cheers! Salute!


Mio padre Carlo e lo zio Sabatino incontrano i parenti americani


Mio figlio Leonardo con in testa il suo regalo!


A Civitella insieme ad Antonio Pilli e sua figlia Sheila (interprete eccellente)

Wednesday, December 1, 2010

COMING HOME di Sandy DiAngelo Sutphin



AN IRON CROSS POINTING THE WAY
MADE BY A GREAT GRANDFATHERS'OWN HAND
IT WAS TIME FOR THE HISTORY TO BE COMPLETED
THE SEARCH WAS STARTED BY HIS YOUNGEST CHILD
WHO PUT HER FAITH IN HER GRANDAUGHTERS
WE WERE FINALLY FOUND THROUGH YEARS OF PERSEVERANCE,
TECHNOLOGY, AND PURE LUCK
WE FELT THE MISSING PIECES IN OUR LIFE,
BUT KNEW NOT WHERE TO BEGIN
THAT CROSS REACHED ALL THE WAY FROM TORTORETO TO AMERICA
AND BROUGHT US HOME
FINALLY WE ADDED OUR OWN STEPS TO THOSE OF OUR FOREFATHERS
AFTER THREE GENERATIONS WE FOUND OUR ROOTS IN THE VINYARDS,
THE OLIVE GROVES, THE SEA, THE SNOW CAPPED MOUNTAINS
WE DIDN'T HAVE TO BE TOLD WE WERE CONNECTED TO THIS LAND
WE DIDN'T HAVE TO BE TOLD YOU WERE OUR FAMILY
WE ARE OF THE SAME BLOOD OUR HEARTS KNEW
YOU FOUND US AND BROUGHT US HOME
WE ARE BLESSED



Tornando a casa

Una croce di ferro piantata dalle mani del bisnonno indicava una via, era giunto il tempo che la storia si compisse. La più giovane delle sue figlie immaginò una ricerca riponendola con fede nelle sue nipoti. Dopo anni di perseveranza, ricerche informatiche e pura fortuna pervennero alfine a noi; sentivamo che nella nostra vita mancavano dei pezzi ma non sapevamo dove cercarli. Quella croce ha percorso tutto il cammino da Tortoreto all'America e ci ha riportato a casa. Abbiamo finalmente aggiunto i nostri passi a quelli dei nostri antenati; in quei vigneti, in quegli uliveti, in quel mare, in quelle montagne innevate, dopo tre generazioni abbiamo trovato le nostre radici. Non ci fu bisogno di dirci che appartenevamo a quella terra, non ci fu bisogno di dirci che eravate la nostra famiglia. I nostri cuori lo sapevano, siamo fatti dello stesso sangue. Ci avete trovato e ci avete riportato a casa e ora noi ci sentiamo in pace.


Monday, November 29, 2010

Up the Alley: prima parte

Sandra DiAngelo Sutphin è la figlia maggiore del figlio maggiore di Umberto, cioè Sam. Per questa ragione è a conoscenza di tanti aneddoti ed episodi che riguardano la sua famiglia e di cui ha voluto farci partecipi consegnandoci di persona, in occasione della sua visita in Italia, gli scritti che seguono. Essi trattano di sua nonna Irene, e sono scritti in un bello stile letterario probabilmente da lei acquisito lungo il duro percorso di recupero interiore conseguente a un grave lutto famigliare: la morte della figlia Mia, infermiera volontaria in un orfanotrofio del Kenya (per chi volesse saperne di più http://www.miasutphinmf.org/ ).Sandra è riuscita a riemergere dal vortice della depressione in cui era caduta e oggi dice di sentirsi una persona migliore, e dev'esserci qualcosa di vero in ciò che dice, perché abbiamo vissuto dei bei giorni insieme al punto che quando se n'è andata ne sentivamo la mancanza. Abbiamo cercato di assolvere nel migliore dei modi il compito assegnatoci, attenendoci fedelmente, per quanto possibile, al testo in inglese, che chi lo volesse potrà richiedere direttamente all'autrice. Chiediamo scusa da subito per gli errori di cui non siamo a conoscenza poiché troppo poco esperti della lingua inglese. Ma del resto non eravamo esperti nemmeno di ricerche genealogiche...

Lungo il viale
di Sandra DiAngelo Sutphin

Se potessi definire la mia infanzia con un ricordo, esso sarebbe l'andare fino al viale che portava a casa di Nonna.
Me ne stavo in silenzio, assorta nei miei pensieri, con lo sguardo fisso alla bara che conteneva un piccolo pezzo di me. Rosie Pilli (N.d.T. Moglie del fratello di Irene Pilli) oggi ci ha lasciato, portando via con sè quell'ultimo fragile anello di congiunzione a un'era che non vedremo mai più...
I ricordi scrosciavano su di me, come la pioggia che mi cadeva addosso, e io m'inzuppavo di essi.
Decisi che dovevo andare a vedere la tomba di mia Nonna. Cercai il luogo dove la lasciammo ormai più di trent'anni fa, ben protetta e incastonata in mezzo ai suoi due amati mariti, che la lasciarono sola, a crescere sei bimbi affamati. Finché non ebbe requie.
Non riesco a trovare il luogo esatto. Passo minuti che sembrano ore a girarci intorno. E mentre ero là, con la pioggia che lavava via le mie lacrime, capii che non dovevo mai più cercare la sua tomba, o sognare di arrivare fino a quel viale per vederla una volta ancora. Io sapevo dov'era.
Lei è nel mio sangue, nel mio respiro e nel mio cuore per sempre.
Mia Nonna visse al numero 322 di South Ellamond Street a Baltimora City. La sua casa era grande. Originariamente era di un blu intenso finché non fu coperta da un verde leggero di licheni. Si trovava dall'altra parte della strada su di un banco di sabbia che portava giù ai binari della ferrovia. La casa era costruita come un telescopio. Era lunga ed era profonda quanto una stanza, e da ciascuna stanza si accedeva alla successiva. Quattro porte conducevano al suo interno. La porta sul fronte non fu mai usata ch'io sappia poiché da essa si accedeva direttamente alla camera da letto della nonna. Nemmeno la porta sul retro lo fu mai, poiché essa accedeva alla stanza da letto che veniva usata da qualcuno dei tanti pensionanti. La sola porta da cui era consentito entrare era quella sul lato. Essa conduceva direttamente nella cucina. La cucina, la stanza più importante di tutti. Era là che mia nonna teneva corte e governava con il pugno di ferro.
La casa aveva un porticato sul fronte sul quale difficilmente ci si poteva sedere, a eccezione di noi bimbi. Avremmo potuto rifugiarci là per sfuggire l'occhio d'aquila degli adulti. Ricordo che sedevamo là io e Kathy, Jeanette, John, Vince e Tony. Tutti vestiti, molto scomodamente, nei nuovi abiti di marca per la Pasqua. Non ho mai compreso per quale ragione, quando veniva la Pasqua, noi dovevamo essere tutti agghindati, dalla testa agli alluci, con capi di abbigliamento di Goldbergs o di Epsteins. Scarpe di vernice, calze di nylon calate su gambe magre come stecchini, le cinture in crescenza sulle gonne strette e le giacche corte. Guanti di cotone bianco che toglievano il respiro alle mani e infine i cappelli che ci mettevano in imbarazzo perchè non volevano stare in nessun posto sulle nostre teste. Forse a causa delle migliaia di riccioli infilati dentro. Io posso ancora ricordare che per stare alla larga dal tanfo della lozione casalinga per l'acconciatura, il cappello era un “passo obbligato” per la Pasqua. Sono sicura che i ragazzi stessero scomodi, ma almeno non dovevano sopportare l'umiliazione di avere un milione di riccioli puzzolenti avvolti strettamente sulle loro teste.
Un marciapiede correva sul fianco della casa. C'era un cancello che dava al passeggio. Alla sinistra del marciapiede c'era la casa e sulla destra c'era un largo recinto chiuso con una catena che conteneva un giardino. Lungo un lato del giardino recintato c'era una linea perfetta di alberi di pesche. Messa lì non dalla grande mano di Dio, ma dalle mani di tutti noi che lanciavamo i noccioli oltre il recinto. Essi misero le radici e avemmo le pesche più squisite e la linea di alberi più perfetta che si potesse avere, grazie alla nostra buona mira.
Oltre gli alberi di pesche c'era il giardino, coltivato, zappato e conquistato da Sam e da chiunque altro egli poté schiavizzare con un forcone. Non ho mai saputo cosa ci facessero con le migliaia di pomodori e fagioli estorti alla terra sotto la minaccia affilata di Sam (N.d.T. Nel testo “shear fear” è un gioco di parole, “sheer fear” significa “pura paura” mentre “shear” vuol dire tagliare). Penso che alcuni finissero nella salsa della nonna. Ma sospetto che un bel po' finissero in faccia al malcapitato che avesse la sfortuna di cadere in un'imboscata di Sam.
Sul retro del giardino c'era un'enorme albero di pere che sembrava quasi reclamare la mia vita ogni qualvolta uno zio decideva di aver bisogno di una pera. Dal momento che ero piccina e non pesavo quasi niente, io potevo facilmente essere sollevata su quella montagna d'albero, alta mille piedi. Se la memoria non m'inganna, sono sicura di essere caduta da quell'albero ogni qualvolta mi ci issarono sopra.
Ora veniamo agli alberi di fichi. Avrei voluto salirci sopra felicemente e non ne sarei discesa fino a che non avessi mangiato ogni succulento fico arso dal sole di quella pianta. C'era anche un albero di prugne, ma il solo ricordo che ne ho è quello di un mucchio di prugne in fermentazione sparse sul terreno. La nonna aveva anche un pollaio che era pieno di polli. Si trovava dietro la casa sulla sinistra del giardino. I polli venivano trattati come ospiti speciali. Potevano sapere di essere proprio loro la cena? Quando non si facevano vedere allora nonna doveva andare a prenderli, il che implicava che avrebbe tirato loro il collo (per questo motivo non dovette mai chiedermelo due volte di venire a cena).
Di fronte al pollaio (bastava scappasse una parola a proposito della cena per far volare i polli fuori dal pollaio) viveva Teddy nella sua cuccia. Era un grande cane giallo che sembrava un orsacchiotto di peluche. Furbo come una volpe e gentile come una brezza leggera. La nonna lo lasciava andare a far visita a chi volesse perché lui sapeva sempre quando era ora di tornare a casa. La stessa cosa non riuscì mai a insegnarla ai suoi sei piccoli selvaggi.
Era così furbo che sarebbe potuto andare giù per la collina fino alla Frederick Avenue, la strada principale, che era pesantemente percorsa da automobili, cavalli, carrozze e tramvai. Un trambusto da incubo per tutto il giorno.


Teddy avrebbe potuto starsene su di un lato della strada ad aspettare e guardare, sempre in tutte e due le direzioni, fino a trovare una breccia in quel caos. Allora sarebbe stato capace di andare avanti e indietro attraverso quella strada. Non aveva nessuno scopo nel fare questo, se non quello di dimostrare che ne era capace. Non mi piace pensare che ci fosse qualcuno pronto a scommettere su di lui qualora si fosse spiaccicato in una delle sue traversate. Se davvero ci scommisero sopra, certamente non vinsero mai. Teddy sapeva di avere un dono che nessun altro cane aveva, e penso che ciò lo rendesse anche un po' presuntuoso.
Un giorno, dopo la consueta esibizione fatta per i suoi fans, dovette sembrare davvero troppo da sopportare a qualcuno degli altri cani meno dotati. Fu allora che Teddy si prese un morso. Un morso della dimensione di due pezzettini. Teddy confermò la sua reputazione di “cane in gamba”. Mosse su per la collina, lasciando una traccia di sangue e di materia che fuoriusciva da lui. Io sperai che nulla di quel suo dono speciale fosse perso lungo quella collina. Non volevo che Teddy si sgonfiasse e morisse, ma non volevo nemmeno che perdesse quel suo dono speciale e che continuasse a vivere. Egli non avrebbe sopportato di non essere più il cane in gamba che era. Ma questo non fu ciò che accadde.
Nonna accorse in fretta quando mi sentì gridare. Io non ero tranquilla. Lei valutò la situazione per un secondo e poi sollevò quell'orsacchiotto di cane al suo petto, non curandosi del fatto che stesse ancora versando sangue o forse anche quel suo dono speciale su di lei. Lo portò nel suo dominio privato, la cucina, adagiandolo gentilmente sopra alcuni asciugamani e cominciò a occuparsi di lui.
Io non sapevo come avesse intenzione di fare per rimettere tutto quel sangue e la materia dentro di lui e tenercela, perchè un pezzo di lui era andato perduto. Non sapevo dove fosse e non mi piaceva l'idea di andare a controllare la bocca di quel cagnaccio rissoso. Cercavo di pensare a cosa potesse fare da tampone. Pensai di prendere il tappo del lavandino, ma era troppo piccolo e così pensai di chiedere a nonna se ne avesse un paio, ma non mi piacque l'espressione dipinta sul suo volto. Non riusciva a credere ch'io volessi tamponare le ferite di Teddy in quella maniera. Mentre io mi scervellavo nonna andò in camera da letto e tornò con un ago e un rocchetto di filo nero. Io ne fui spaventata perché lei non faceva che dirmi che dovevo starmene tranquilla mentre lei pensava. E temevo che avesse intenzione di cucirmi la bocca per meglio riflettere su come aiutare Teddy.
Mentre io stavo per andare a nascondermi sotto il lavandino ella mi afferrò per il polso e mi strattonò indietro per un compito alla portata della mia mano. E grazie a Dio era la sola cosa che voleva. La mia mano per tenere fermo Teddy così che potesse usare ago e filo e cucire il pezzo mancante.
Teddy non fece tanto chiasso. Era un cane troppo in gamba, ma Nonna ne fece parecchio. Aveva le lacrime sul volto mentre non faceva che ripetere “Mi spiace tanto Teddy, tornerai a stare bene, avrai indietro il tuo dono speciale, te lo prometto”. Lei sapeva perchè stava piangendo, ma Teddy no e le credette.
Dopo aver molto pianto e assicuratasi che Teddy non perdesse più niente, lo spostò in un luogo più accogliente accanto ai fornelli. Quindi vuotò tutto il caffè in una grande pentola e aggiunse latte e zucchero e poi un bel pezzo di pane italiano... che io avevo sperato di mangiare. Mescolò tutto insieme e lo mise sul fuoco a riscaldare e poi lo versò in una grande ciotola proprio vicino alla testa di Teddy. Stavo giusto per chiederle se potevo averne un po', ma dopo un rapido sguardo all'ago e filo che ancora teneva in mano, pensai, meglio di no. Meglio andare a letto affamata che avere le labbra cucite insieme.
La parte più importante del cortile era la pianta della vite che stava tra la casa e il giardino. Essa pendeva sopra il marciapiede piena di grappoli. Non dei grappoli qualsiasi, ma dei grappoli grossi, rosa, che si spaccavano per quanto erano succosi, e che Nonna utilizzava per fare il suo vino speciale. Non ho mai capito perchè questi grappoli rosa non dessero un vino rosa, ma facevano un vino bianco (N.d.T. Sandy, telefonami che te lo spiego!). Forse dimenticava di metterci qualcosa. Per certo era spaventoso ed eccitante fare il vino. Noi dovevamo portare l'uva giù in cantina e metterla dentro una grande botte scura che stava allineata contro la parte più buia e più spaventosa della cantina. C'erano anche degli enormi caschi di banane verdi che pendevano dal soffitto. Sembrava non ci fosse mai abbastanza luce là sotto, e quando c'era veniva subito spenta lasciandomi tremante nella più totale oscurità. Ero solita fare le scale di corsa saltando 4 scalini per volta perchè sapevo che la Grande Mano si sarebbe infilata tra gli scalini e avrebbe afferrato le mie gambe.
(Continua...)


(Nonna Irene e il figlio Vincent davanti alla casa in Ellamond Street)

Monday, November 15, 2010

Yes, I was there!

The cake

The wine from Lattanzi's winery

Cugini D'Angelo & DiAngelo

Last generation

Franca's introduction

Sandy's speech

La consegna dei regali

The gift from Castelli


Dafne, a famous singer from Greece

Alison, a famous singer from England

Roberta e Leonardo



Daniela, Pasquale e Livia (gli ospiti più graditi)

Elodia e Rosina

Leo: un momento di animazione

Franca e Maria, Oh I haven't seen you for ages!

Alfredo Feliziani e signora e Lorena

DiAngelo Family e Antonio Pilli

Carlo

Evelina & Attanasio

Le Sutphin girls

Il menù