Wednesday, August 31, 2011

Zio Gianni mi scrive...ecco la casa!


La sua lettera: "...rovistando tra le foto a casa di mia madre ho trovato le due foto allegate.
Sulla vespa alla guida c'è nostra cugina Albertina e dietro io. Sullo sfondo si vede la casa dei nonni. L'ultima porta, che si vede meglio nell'altra foto, era l'ingresso del fondaco dove venivano conservate dentro "all'arcò" le granaglie ed altri prodotti dei campi.
La finestra che si intravvede sopra il fondaco era la stanza occupata all'epoca della foto (15/09/1957) da zio Narduccio (Bernardo). L'intero fabbricato era già pericolante e parzialmente crollato nella parte posteriore e quella era la stanza più sicura e meglio conservata.

Sotto l'arco della loggia, se ricordo bene, c'era l'ingresso della cantina dove c'erano grosse botti di legno. Erano più grandi delle botti che avevano zio Antonio, zio Peppe e gli altri contadini li intorno.
Nel sottoscala c'era una piccola stalla per le pecore.
La porta che si vede alla fine della scalinata dava l'accesso ai locali del frantoio che era crollato.
Osservando bene la costruzione si intravvede che la scalinata, la loggia e i montanti delle porte sono stati costruiti con mattoni prodotti dalla fornace di nonno che era ubicata dietro la casa.
Dietro la casa c'è una strana depressione del terreno, ora meno evidente, causata dai prelievi per costruire i mattoni.
Nella seconda foto c'è mio padre con il cappello ed un altro signore con la coppola che molto probabilmente dovrebbe essere zio Antonio a giudicare dall'altezza. Sullo sfondo l'ingresso del fondaco della casa paterna e si vedono sopra all'architrave due buchi per i nidi dei colombi."

Thursday, August 25, 2011

Il racconto

Bernardo aveva 18 anni quando quel fattaccio lo strappò alla vita, consegnandolo alla follia. Il torto che gli fu fatto fu irrimediabile, definitivo. La notte del riposo si era squarciata per sempre, come la sua carne. Ora si sovrapponevano le voci turbate dei vicini che accorrevano guardinghi e agitati, interrogandosi fra loro, supponendo nel cammino affrettato cosa fosse accaduto. Su quelle voci diffuse una imperava, con lamenti lancinanti simili a quelli di una partoriente: era Filomena. Quando i vicini sopraggiunsero, il portone era spalancato e la luce sparsa sul terrazzino. Due giovani sostenevano il corpo enorme di un ragazzo e sotto quel peso le loro schiene si curvavano. Il corpo massiccio tenuto per le spalle e le ginocchia veniva trasportato quasi ondeggiando, col capo riverso da un lato che spargeva semi di sangue e saliva. Dietro c'erano le ragazze dei Crevì che assistevano i fratelli, tamponando a turno la ferita. Abele scese le scale a grandi passi con un fremito che gli era rimasto nelle gambe e corse verso la stalla. Filomena seguiva incredula il piccolo corteo, a tratti riemergeva dal suo stato confusionale urlando indicazioni ai figli per poi ripiombare in uno stupore quasi infantile. I vicini aiutarono a sistemare il carro con i buoi, tratti dalla stalla assonnati ma piegati alla volontà umana. Sul carro sopra un giaciglio di paglia venne adagiato Bernardo; nell'aria l'odore pungente di stalla esalato dai buoi si mischiava a quello delle bocche spalancate in uno sbraitare che appariva già inutile.
Com'era bello Bernardo anche ora adagiato su quel carro, con la maglia intrisa di sangue, le braccia muscolose che penzolavano arrese dal suo torace virile; era bello Bernardo, aveva labbra tumide perfettamente disegnate, ora imbrattate.
Una “fandella” era accorsa insieme al padre e lo guardava angosciata. Lei aveva fantasticato su quel corpo possente, aveva immaginato di esserne sovrastata e vinta nell'estasi; ora che lo poteva scrutare senza pudicizia, che poteva soffermare lo sguardo su di lui, lo trovava ancora più desiderabile, con gli occhi socchiusi che sembravano osservarla maliziosamente, col capo reclinato verso di lei come in uno stato di abbandono di sensi, appena placati. Ma il pallore che emergeva a forza sulla pelle imbrunita di Bernardo, la smentiva. Il carro partì con uno scossone che si propagò al suo animo e lei distolse lo sguardo dal ragazzo che aveva sognato di amare.

Arrivarono all'ospedale di Nereto a notte fonda. Avevano dovuto di corsa tornare indietro a prendere delle scale per guadare il torrente Vibrata che in quel periodo era carico d'acqua e non c'era un ponte per attraversarlo. I vicini si erano adoperati con solerzia ad improvvisarne uno con delle scale di legno e poi, gambe nell'acqua avevano assistito il carro fino alla sponda opposta sotto la direzione di Antonio. Egli vedeva il corpo di Bernardo lì sopra in balia dei sussulti del carro, ad ogni legno superato. Suo fratello era uscito per lui, per dargli man forte. Aveva sentito l'incombenza di comportarsi da uomo, lui che era ancora un ragazzo. Bernardo lo aveva accolto con una risata fragorosa quando era tornato dall'America; il suo sorriso esuberante di giovane era stato l'abbraccio più vigoroso, più vitale che aveva trovato al suo ritorno. “Accidenti, tutto il tuo astio è riservato a noi, Dio!” Avrebbe voluto urlarlo e vomitare quegli anni trascorsi tutti d'un fiato in compagnia solo della fatica che gli aveva logorato anche l'anima.

Bernardo giunse quasi esangue all'ospedale di Nereto. La rosa di pallini aveva sparso i suoi petali di piombo su di lui, trafiggendolo in più punti e lesionando soprattutto un polmone. L'ospedale di Nereto era il più vicino e questo ne aveva determinato la scelta, benché non fosse il meglio attrezzato per quell'emergenza. Bernardo sarebbe probabilmente morto e comunque “Signora, suo figlio è già in coma, ci sono poche speranze di salvarlo e se mai riusciremo a farlo sappia che non tornerà normale” “Sia fatta la volontà di Dio” Filomena era molto religiosa e possedeva la rassegnazione cristiana di accettare tutto quello che Dio aveva in serbo per lei, con totale fede. Aveva sì sognato di rialzare la testa ma aveva compreso che per quelli come lei non esiste rivalsa, né speranza di riscatto. Il medico le aveva detto che “Doveva solo aspettare e pregare” già sperare che questa volta ai poveri cristi sarebbe toccata una sorte diversa, meno scontata, meno banale. Ma un povero cristo non spera più, conosce la sua sorte e l'accetta, l'abbraccia e se la carica sulla groppa, piegato come quei buoi alla volontà divina.

Bernardo rimase a lungo in ospedale, i pallini gli furono estratti frugando e scavando nella sua carne viva, senza nessuna anestesia. Durante il delirio egli ripeté insistentemente un nome, biascicandolo tra i denti: “Murgiò”. Capirono subito che la sua mente era rimasta a quella notte. Egli aveva avuto l'ardire di rincorrere uno dei ladri a mani nude e dopo averlo raggiunto gli aveva strappato il bavaglio prima che una fucilata alla schiena lo fermasse, lo abbattesse, facendolo precipitare a terra come un albero, Bernardo il più maestoso, il più bello. Ora quel viso gli si era piantato davanti beffardo, burlandosi di lui e lo tormentava più del bisturi che lo trafiggeva ripetutamente. Ogni estrazione, ogni visione erano un attacco lancinante al suo cuore di ragazzo, ma lui resisté, lui non morì “Era meglio se fosse morto” mi dirà Argentina, mia nonna. Già, sarebbe stato meglio per lui morire invece non morì, fu una nascita quella, la nascita del suo calvario, l'inizio di un'intera vita di sofferenza, di scherni, di disprezzo, di umiliazioni perpetrate senza compassione in mezzo alle quali Bernardo avrebbe dovuto districarsi e schivare con la mente azzoppata da quella dannata notte. La degenza di Bernardo terminò con la sua fuga dall'ospedale.

Monday, August 1, 2011

La nostra storia alla VI Giornata dell'Emigrante

Postiamo l'intervento di Roberta alla VI Giornata dell'Emigrante svoltasi a Tortoreto Alto il 31 luglio 2011