L'articolo che segue doveva essere pubblicato su un giornalino locale, ma sono ormai mesi che l'abbiamo postato senza ricevere notizie in merito alla sua uscita, pertanto abbiamo deciso di pubblicarlo su questo blog che del resto è il luogo ad esso più naturale. Si tratta di un sunto del materiale che abbiamo reperito presso l'archivio di Stato di Teramo relativamente al processo in cui fu coinvolta la famiglia D'Angelo negli anni venti. A eccezione dei membri della famiglia abbiamo preferito tacere sui nomi delle persone coinvolte nella vicenda, tuttavia ci farebbe molto piacere arricchirla con altre testimonianze da parte di coloro che hanno sentito i loro antenati raccontare, come è successo a noi, questa incredibile storia.
" La storia di cui vi
parlo in questo articolo si riferisce a una vicenda accaduta
negli anni venti a Tortoreto, una vicenda che fece molto
scalpore all'epoca e di cui mi capita ancora oggi di sentirne
l'eco nei racconti delle persone anziane. Nella notte tra il
28 e 29 marzo del 1922 un gruppo di uomini si ritrovò davanti
allo spaccio di sali e tabacchi della frazione di Terrabianca.
Erano una quindicina, armati di fucili e pistole. Alcuni di
loro avevano indosso busti di zinco per pararsi dai colpi, una
sorta di giubbotto antiproiettili di dell'epoca e “mitria”
(copricapo di metallo) in testa. C'era anche un fanciullo
dodicenne tra loro, condotto lì da suo padre e da lui iniziato
alla malavita. Uno degli uomini risultò particolarmente buffo
al ragazzo perchè aveva indosso una pelle d'orso per
camuffarsi. La banda si diresse verso il casolare della
famiglia D'Angelo, soprannominata Crevì, dove abitava Antonio
D'Angelo tornato da pochi mesi dagli Stati Uniti con un
discreto gruzzolo, frutto di molti sacrifici e di 8 anni di
lavoro duro sulle ferrovie d'America. Era successo che una
mattina mentre l'anziana madre era intenta a ricontare i soldi
che il figlio aveva riportato, si fosse inavvertitamente
introdotto in casa un vicino “Filumè, ti sei arricchita!”
aveva esclamato, rimanendo molto impressionato dalla vista di
quel denaro. La voce si sparse così per la contrada
Terrabianca tanto che si formò una banda composta da alcuni
ladri recidivi, qualche violento con precedenti penali e da
insospettabili incensurati. La banda di balordi che quella
notte sarebbe entrata in azione. Giunti nei pressi del
casolare dei D'Angelo circondarono la casa, mentre il ragazzo
fu messo a guardia della strada, nascosto in un pantano. Due
di loro, tra cui quello coperto da pelliccia, indossavano una
maschera di stoffa rossa legata a cordicelle che avevano fatto
passare attraverso le gambe, in modo che non potesse essere
loro sfilata. Le testimonianze che seguono sono tratte dai
verbali del processo penale che seguì a quella vicenda. Esse
si riferiscono alla confessione del ragazzo coinvolto dal
padre e al resoconto che fecero Antonio e Bernardo D'Angelo al
giudice istruttore.
Racconta Antonio
D'Angelo « Erano le 22:30 circa, io e i miei fratelli
Giuseppe, Bernardo e Abele eravamo già andati a letto dormendo
nella stessa camera mentre in un'altra camera della nostra
abitazione dormivano mia madre e le mie sorelle Vittoria,
Nicolina e Argentina. A un tratto sentii un rumore proveniente
dalla stalla sottostante. Poiché qualche sera prima avevamo
subito un furto di oche e galline pensai che si stesse
ritentando il colpo a nostro danno. Allora mi alzai, presi il
fucile che avevo in camera e sparai un colpo dalla
finestra...»
Racconta il ragazzo «
Ero stato messo di guardia da mio padre vicino a un pantano
dove potevo tener d'occhio sia la strada che la casa dei
Crevì. A un certo punto udii un colpo di fucile provenire
dalla casa al seguito del quale tutti gli uomini scapparono
via tranne il signor X che era andato a rubare nella
stalla...»
Prosegue Antonio «…
dopo aver esploso un colpo di fucile aprii uno dei battenti
del portone d'ingresso e con grande mia sorpresa vi trovai
dietro un uomo. Questi era armato di rivoltella e cominciò a
sparare tanto che se non mi fossi prontamente curvato mi
avrebbe ucciso. Riuscii ad afferrarlo per le braccia e a
buttarlo a terra, ma questi mi diede un colpo sul viso col
calcio della pistola e fuggì...»
Racconta il ragazzo «
dopo quel colpo di fucile udii sei colpi di rivoltella
provenire dalla casa e poco dopo arrivò anche il signor X che,
come era stato convenuto, al segnale si dileguò insieme a
tutti gli altri »
Prosegue ancora
Antonio « In quel momento in casa regnava una gran confusione,
mia madre e le mie sorelle gridavano e piangevano. Mio
fratello Bernardo era a terra sanguinante, era rimasto ferito
mentre accorreva in mio aiuto...»
Racconta il
diciottenne Bernardo D'Angelo « Ieri sera, verso le ore 11,
mentre ero a letto, sentii dei belati delle pecore e delle
capre e temendo che dei ladri vi fossero nell'ovile, aprii la
porta di casa e m'imbattei in un individuo che sulle prime
scambiai per mio fratello, tanto che cominciai a chiamarlo per
nome: “Antonio, Antonio” ma lo sconosciuto, che aveva il viso
bendato, in un salto fu dentro al fabbricato e cominciò a
sparare all'impazzata e riuscì, anche nell'oscurità in cui
eravamo, ad attingermi con tre proiettili. Oltre detto
sparatore, non vidi insieme a lui altre persone...”
Racconta Antonio « In
mezzo a quel trambusto riuscii a rialzarmi e cominciai a
chiedere aiuto a un vicino il quale ha la sua casa su di un
poggio di fronte alla nostra “Corri, corri ci sono i ladri”
gridai al mio dirimpettaio e lui rispose “Adesso vengo”, ma
poi non venne e lo udii esplodere di lontano un colpo di
fucile. Poco dopo accorsero altri vicini armati di fucili e
forconi...»
Il giorno seguente i
Carabinieri di Tortoreto dando seguito a voci pubbliche
arrestarono un ragazzo, quello stesso dodicenne che aveva
preso parte alla vicenda e che confessò tutto ciò che sapeva.
Il ragazzo fu invitato a fare i nomi di coloro che avevano
partecipato all'assalto al casolare, molti dei quali non potè
riconoscere a causa dell'oscurità, ma tra quelli che menzionò
pare ce ne fossero almeno un paio di coloro che poi erano
accorsi in aiuto dei D'Angelo. La vicenda non ebbe conseguenze
giudiziarie gravi per nessuna delle persone sospettate poiché
furono tutti scagionati per insufficienza di prove. Solo il
povero Bernardo D'Angelo ne patì le conseguenze dovendo subire
un lungo ricovero ospedaliero durato 186 giorni di cui parte
tra la vita e la morte, al termine del quale non fu più lo
stesso uomo. Lui che dicevano fosse il più bello dei Crevì,
che dicevano fosse il più forte e che pure si rivelò tra i più
coraggiosi, si ritirò dalla vita sociale conducendo per il
resto dei suoi giorni un'esistenza eremitica, tra quella casa
dove era nato e aveva rischiato di morire, e il Vibrata dove
andava a pescare e a spaventare, senza volerlo, le ignare
avventrici con le sue stranezze. Non si è mai saputo chi gli
abbia sparato. Tuttavia alcuni discendenti dei D'Angelo dicono
che fosse un noto ladro della zona, un tale che i Carabinieri
dell'epoca descrivono come un tipo “taciturno, poco amante del
lavoro e nottambulo”. Altri invece riferiscono che fosse una
persona nullafacente ma per bene, che frequentava la casa dei
Crevì. Il ragazzo dal canto suo fece due nomi, il primo, si
disse, estorto sotto torchio dai Carabinieri e il secondo, più
spontaneamente, nelle confidenze fatte a un coetaneo. In
entrambi i casi si trattava di vicini di casa dei Crevì
nullatenenti, ma incensurati. Anche Bernardo riferì un
indizio, l'unico indizio che abbiamo sullo sconosciuto
feritore. Mentre quest'ultimo esplodeva i colpi che lo
avrebbero gravemente offeso, per un frangente la vampata
dell'arma illuminò la stanza di quella notte buia e senza luna
e apparve la sagoma di un uomo “aitante della persona”, come
egli stesso lo descrisse, prima che l'oscurità inghiottisse
per sempre l'identità del colpevole."
ROBERTA VALLESE e
DOMENICO LATTANZI
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