“Lasciami!” gridò Filomena divincolandosi, con un urlo stridulo, dalla morsa di Giuseppe che la tratteneva nell’altra stanza. Oltrepassò l’uscio come un’ossessa, la camicia da notte stropicciata dal breve riposo, i lunghi capelli in disordine che ad ogni passo le ondeggiavano sul viso sconvolto; le mani erano protese in avanti, quelle mani robuste, avvezze alla fatica. Si curvò su Bernardo carezzandolo involontariamente con le ciocche come una Maddalena col suo Cristo “Nardù, mamma.. rispondimi”. Si sentì una voce allarmata che proveniva dall’altra stanza, la voce di una ragazza “Stanno salendo dal retro!” era Vittoria che in famiglia chiamavano Vevina. Giuseppe cercò il fucile con gli occhi, era lì adagiato sul pavimento, ancora carico. Lo afferrò, scansando Antonio, corse verso la finestra della sala e cominciò a sparare come una furia verso quelle ombre infernali; caricava e sparava con la forza della rabbia che aveva dentro, con le lacrime agli occhi che rendevano tremule quelle sagome. Caricava e sparava “Andatevene via, mostri, demoni!”
Abele e Argentina si erano nascosti sotto al letto, erano entrambi adolescenti. La porta della camera era rimasta aperta quando l’uomo aveva iniziato a sparare e alcuni colpi erano penetrati nella stanza, lacerando i vestiti appesi. L’armadio non c'era, gli abiti erano appesi a un’asta e coperti con un telo. Argentina singhiozzava mentre Abele la teneva stretta cercando di rassicurarla “Vedrai che ora se ne vanno” e intanto sperava invano di risvegliarsi da quell’orribile incubo.
Cor. era un giovane benestante, faceva di mestiere il mediatore. Tre volte a settimana si recava col suo calesse dalla fidanzata che abitava a Cavatassi, una frazione di Tortoreto. Quella sera si era attardato un po’; dopo la consueta visita aveva fatto una sosta all’osteria. Col tepore in corpo effuso dal vino, la frescura della notte si affrontava meglio. Dalla scorciatoia di Cavatassi svoltò verso quella di via della Quercia. La sua cavalla procedeva trottando sulla strada sterrata, scostando al passaggio le fronde degli alberi. Cor. sentiva le palpebre pesanti, forse per il quartino tracannato o per la cadenza monotona degli zoccoli. Poi dei colpi irruppero in quella monotonia e lui si rianimò. Spari che si susseguivano come una batteria di fuochi d’artificio. Se ne scorgevano i lampi a lato della strada, brillavano attraverso la vegetazione. Cor. spronò la cavalla colpendola ripetutamente con le redini, in preda al panico. L’animale galoppò convulsamente giù per il sentiero, spaventato anch’esso dai colpi di fucile che gli rimbombavano in petto. C’era una sparatoria in atto, i lampi delle fucilate illuminavano scorci di una casa, quella dei D’Angelo “Sono andati i briganti dai Crevì!” pensò Cor. Poi distolse lo sguardo da quella casa e si concentrò sulla sua salvezza. Continuò ad incitare la cavalla sollevandosi ad ogni sconquasso dalla panca del calesse. Raggiunse finalmente la strada principale e si dileguò.
Monday, September 20, 2010
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Quest'uomo tormentò per anni mia nonna ricordandogli quella notte.
ReplyDeleteMio padre usa una bella espressione dialettale quando racconta di Cor. dice che lungo la stradina "facev li vesdurn!".
HA HA HA HA HA, certo che questo Cor. non fece una gran bella figura quella notte! Al posto suo chiunque avrebbe glissato sull'argomento! A proposito, sai che la parola "vesdurn" che si trova anche nella forma "vuddurn", cioè vudd + 'nturn, potrebbe significare "che gira intorno".
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